ancora una cosa sulla Val Gardena
Il patrimonio immateriale, a dispetto della sua denominazione così imponente – patrimonio immateriale dell’umanità – è piccolo. Questa è la prima cosa che mi ha colpito durante l’esperienza in Val Gardena.
Piccolo perché mutevole, sfuggente, afferrabile solo in brevi fotogrammi che ne riproducono una visione parziale e soggettiva.
Piccolo perché, quando non diventa folklore, è custodito nelle storie di vita, nei ricordi, nell’intimità delle case. O nei tinelli, come la tradizione carnevalesca del “ruba la pentola”, che ci è stata raccontata a Selva di Val Gardena. Un banale scherzo, una pentola di minestra rubata con la complicità di tutti (si, anche di quelli a cui veniva rubata…), ma importante perchè riporta alla mente storie d’amore giovanili, amicizie, risate. Un passato ormai passato, che proprio per questo acquista un’aura di magia e di sentimentalismo.
Da tempo ormai antropologi, narratori, documentaristi, come dei coraggiosi Don Chisciotte, cercano di impossessarsi dell’immenso patrimonio immateriale – troppo immenso per essere acchiappato – , e di fissarlo una volta per tutte nella storia perché non vada perduto. Equivale a dire, perché non se ne perda il ricordo. Già, nelle società non più orali, ciò che non è scritto, che non è visibile e tangibile, non c’è.
Ma il patrimonio immateriale non è custodito solo nei ricordi. E’ sì nel bagaglio di saperi e conoscenze, nelle feste tradizionali, nelle ritualità, ma è anche nella nostra quotidianità, nelle piccole cose di pessimo gusto, come direbbe Guido Gozzano, e perfino nelle barzellette.
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Sempre in Val Gardena, abbiamo assistito a una sfilata di carnevale. Una qualunque sfilata con i bambini travestiti, come ne abbiamo viste mille. Nulla di esotico né di affascinante. Di primo acchito veniva da chiedersi: cosa c’entra questo?
C’entra eccome. Siamo abituati a pensare al patrimonio immateriale come a qualcosa che non c’è più, che rischia di andare perduto, o a qualcosa di estraneo rispetto alle nostre abitudini. Ma anche la nostra attualità è ricca di patrimoni immateriali, che, come sempre succede, raccontano molto della nostra società. Solo è difficile vederli, perché ci siamo dentro.
Alla sfilata c’erano bambini vestiti da Comandate Schettino, a ricordarci la tragedia della Concordia e la linea sottile che esiste tra il dramma e l’ironia. Altri vestiti da indiani con il flauto e il serpente che esce dal cesto, a dirci che la favola di Ali Babà e i 40 ladroni è ancora attuale, e che il fascino per l’esotico, anche nel mondo globale, è tuttora vivo. I genitori a guardare e fotografare i loro bambini travestiti, poi, lasciavano immaginare i preparativi tra le mura domestiche, e testimoniavano il rapporto generazionale nella nostra cultura; ben diverso da quello delle società cosiddette primitive in cui, il primo evento collettivo a cui i più piccoli sono chiamati a partecipare come protagonisti, è il rito di iniziazione, vale a dire quando smettono di essere “piccoli” ed entrano ufficialmente nel mondo dei “grandi”.
Anche questo è patrimonio immateriale, degno di essere raccontato e, così, reso immortale.
E allora, la parola agli scrittori, che con i loro occhi e le loro penne ci racconteranno dei frammenti di vite alpine.
Chiara Piaggio
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29 Jun 12 at 1:32 pm